PULVIS ET UMBRA SUMUS

PULVIS ET UMBRA SUMUS

Alessio BARCHITTA | Debora FELLA | Paolo MIGLIAZZA | Miriam MONTANI MAGRELLI | Luca PIANELLA

Miriam Montani Magrelli, Habitat, Dentro come Fuori, 2020/2022

OPENING 
26 giugno, dalle 18 alle 21
Via Gorani 8, Milano 

Alla presenza degli artisti

Galleria Allegra Ravizza è lieta di presentare la mostra Pulvis et Umbra Sumus, una collettiva di giovani artisti che si sono distinti per la loro arte e creatività al Premio Artivisive San Fedele di Milano: Alessio Barchitta (1991), Debora Fella (1990), Paolo Migliazza (1988), Miriam Montani Magrelli (1986) e Luca Pianella (1985). 
Ospitata nello spazio di Milano, in via Gorani 8, la collettiva inaugurerà giovedì 26 giugno dalle 18 alle 21, alla presenza degli artisti, e resterà aperta al pubblico fino al 3 ottobre 2025. 

Il titolo della mostra Pulvis et Umbra Sumus cita un verso delle Odi del celebre poeta latino Orazio, traducibile in “siamo polvere e ombra”, che mira a rimarcare la consistenza ineffabile e impalpabile dell’uomo, eternamente soggetto alla fugacità del tempo. Proprio l’incombenza della morte e l’impossibilità umana di sfuggire alla propria natura mortale, secondo il poeta, dovrebbero agire da monito affinché l’uomo possa godere e assaporare ogni attimo felice del presente. Carpe diem!  

In mostra sono presentate trenta opere che affrontano questo tema sia dal punto di vista puramente materico sia sotto quello più concettuale: accomunate da un utilizzo vario e poliedrico di polveri, ceneri, intonaci o grafite, ogni opera approfondisce e mostra il declino e la dissolvenza dell’essere accanto all’offuscamento della memoria, l’evanescenza della luce insieme allo scorrere inevitabile -e a volte catastrofico- del tempo.  

A testimonianza di questo, Alessio Barchitta propone un lavoro dal progetto Coordinate (2017): strati di silicone che raccolgono “strappi” di intonaco e pitture raccolti da pareti di abitazioni abbondonate, edificate tra Ottocento e Novecento in Sicilia, sua terra natia. Edifici ormai in rovina, già invecchiati, già vissuti ed esperiti, a cui non resta che mostrare la loro storia, fatta di via-vai di abitanti e ospiti che, secondo il loro gusto, hanno reso quelle mura casa: dai decori d’epoca liberty alle intonacate sempre più piatte e -forse- disinteressate degli ultimi inquilini. Da questi lavori ne emerge un racconto ogni volta diverso che evidenzia una cura sempre minore per le mura domestiche e il passaggio ad un’epoca subordinata a spostamenti veloci, a case temporanee e spazi anonimi, a situazioni momentanee e instabili. Questa stratificazione di silicone, pittura e intonaco, stesa come un panno che asciuga al sole, riporta le coordinate d’appartenenza con l’intento di ricordare luoghi di provenienza e la consapevolezza di un passato che non è più. 

All’ambito domestico si rifanno anche i lavori di Miriam Montani Magrelli che durante il periodo di lockdown crea l’opera Habitat, Dentro come Fuori, una riproduzione di alcuni dettagli delle pareti interne della sua casa a Milano resa visivamente attraverso la polvere sottile della città, raccolta —non senza difficoltà— per le strade milanesi raschiando e aspirando le superfici, la sua “pelle”, con un piccolo aspirapolvere portatile, a partire da dicembre 2019. Le piastrelle del bagno, della cucina, i piatti decorativi e gli stucchi veneziani della stanza dell’artista sono gli unici protagonisti di quest’opera, che creano un dialogo d’unione tra esterno e interno cogliendo l’alienazione della vita quotidiana e degli spazi domestici. Proprio in un momento in cui il potere umano si approccia alla vita con controllo, le polveri sottili, scarto del capitalismo, rappresentano l’imprevedibile. 
Caratterizzata da una ricerca multiforme e poliedrica, l’artista fa costantemente riferimento non all’immagine visibile ma a quella che si schiude in una visione onirica o immaginaria o che emerge dalle tracce o dai segni dell’accadere e che si concretizza attraverso l’uso di materiali fragili ed evanescenti come polvere o elementi organici. Da questa indagine nasce nel 2020 la serie Inversioni di Volo in cui l’artista, dopo aver raccolto un inventario delle polveri di Milano, inverte simbolicamente il peso della città: tutto ciò che gravita verso il suolo acquista una natura aerea e volatile. I corpi pesanti -quali oggetti, pietre, gocce di asfalto- si smaterializzano e di loro restano solo i contorni che vengono riproposti su carta attraverso l’utilizzo di quella sostanza che invece, per natura, fluttua nell’aria, spostata anche dalla più lieve bava di vento: la polvere. In questo modo l’artista trasmuta un corpo solido in un corpo immateriale e privo di peso, invertendone il volo in una visione del mondo upside down.   

Al mondo onirico e immaginario, in cui dei soggetti restano solo velature e trasparenze, si rifà anche la ricerca artistica di Debora Fella, che lavora infatti al negativo proponendo allo spettatore una visione del mondo inversa e speculare. Protagonista delle sue opere è infatti l’ombra, raccontata su carte e tele dalle superfici piccole che rispecchiano la dimensione intima e raccolta del suo lavoro. Appoggiando un foglio su uno strato di inchiostro litografico, l’artista disegna nature morte, fiori, oggetti e soggetti con punte di matite e pastelli di varie grandezze e colorazioni. A lavoro ultimato gira il foglio: quello che prima era il retro del disegno diviene il fronte, diventa l’opera da esporre, proprio come se si spostasse il focus dell’attenzione da una figura corporea alla sua ombra impalpabile. Viene così presentato allo spettatore un disegno monocromo, semplice nella sua essenzialità, scevro da ogni possibile distrazione cromatica, a volte più nitido altre volte più labile, come spesso sono i ricordi e i meccanismi della memoria. La volatilità del ricordo, la sua natura leggera, effimera e impalpabile, si concretizza nei lavori di Debora Fella attraverso l’utilizzo della polvere di ardesia, di grafite e di carbone che l’artista dispone sulle superfici alternando pieni e vuoti, nitidezze e trasparenze, segni netti e tratti sbiaditi, in un perenne equilibrio tra astrazione e figurazione, tra sogno e realtà.   

Debora Fella, Carte d’Ombra, 2019

Una netta demarcazione tra luce e ombra emerge anche nei lavori di Luca Pianella, attento allo stesso tempo all’unione delle due condizioni luminose che vengono spogliate reciprocamente delle loro specificità in un dialogo di contrasto. Con Ombre Pianella arriva a tematizzare questa polarizzazione luminosa in cui le figure sembrano affiorare dall’oscurità profonda che le inghiotte. I tratti evanescenti dei soggetti infatti vivono e si figurano proprio grazie all’eccesso di buio di cui sono circondati, connotandosi quindi nel loro estremo opposto. Per realizzare il nero delle tenebre l’artista adopera la sola grafite che viene successivamente lavorata attraverso un processo “per sottrazione” con l’intento di riportare in luce il bianco della carta, delineando forme di volti umani e nature morte in un elegante gioco di tridimensionalità apparenti in cui il tempo sembra restare sospeso, immobile. 

Ad un tempo perduto, inteso come ritorno al punto zero, fa invece riferimento Paolo Migliazza con le sue figure di giovani adolescenti che, con gli occhi velati e mancanti di qualsiasi connotazione individuale, avvertono e patiscono il peso del mondo reale, quello lontano dall’immaginazione e dalla spensieratezza fanciullesca. Forse costruendosi o forse sfaldandosi nell’impasto della materia che li compone, quale polvere di carbone, terra o gesso, i busti dei giovani corpi si ergono nella loro essenziale semplicità dinnanzi allo spettatore, che liberamente può scegliere se interrogare il lavoro o lasciarsi interrogare. Paolo Migliazza presenta dei corpi irresoluti, in metamorfosi, a rispecchiare un’età di tensione in cui l’identità è ancora in via di definizione, in cui vitalità e volubilità coesistono in un imperfetto dualismo.   

Si ringraziano Andrea Dall’Asta SJ e la Galleria San Fedele di Milano.